
Larry Fink
Dazi globali contro tutto il mondo. Trump il 2 aprile annuncia «dazi reciproci» in risposta alle tariffe degli altri paesi. Ha un occhio di riguardo per il Regno Unito: tasse minime del 10% contro Londra. Invece sono del 20% verso l’Unione Europa, del 24% per il Giappone fino alla stangata del 34% con la Cina. Le imposte sulle auto importate scattano al 25%.
Wall Street e il dollaro non la prendono bene: calano ancora come da due mesi. Bitcoin potrebbe addirittura diventare l’erede del dollaro. La moneta digitale killer è in agguato. È finito sui giornali quello che si sussurrava nelle stanze ovattate dell’alta finanza di New York. Larry Fink qualche giorno fa lancia l’ipotesi bomba nella lettera annuale agli investitori di Blackrock, il più grande fondo d’investimenti del mondo (gestisce masse di risparmio per oltre 11.500 miliardi di dollari).
Il fondatore e amministratore delegato di Blackrock con prudenza usa toni dubitativi sulla possibile rivoluzione monetaria: «Il Bitcoin può erodere lo stato del dollaro come moneta di riserva?». Fink usa il punto interrogativo ma delinea uno scenario dirompente per il capitalismo e per l’egemonia politica globale della super potenza Usa. Indica anche la causa della possibile detronizzazione del dollaro come valuta di riserva internazionale: «Se gli Stati Uniti non portano il loro debito sotto controllo, se il deficit continua a gonfiarsi, l’America rischia di perdere quella posizione a favore di asset digitali come il bitcoin».

Dollari
In sintesi: il bitcoin al posto del dollaro (o un’altra valuta digitale anche meno nota) per sbrigare i pagamenti internazionali di merci e servizi. La debolezza crescente della moneta statunitense è causata dall’enorme debito pubblico a stelle e strisce e parallelamente dalla valanga di interessi pagati ai sottoscrittori dei titoli emessi dal Tesoro di Washington.
Il debito pubblico Usa al 31 dicembre 2024 ammontava a ben 36.200 miliardi di dollari, per l’80% nelle mani di soggetti privati (risparmiatori, assicurazioni, fondi pensione, istituti di credito). Al primo posto ci sono i creditori dei paesi dell’area euro (1.700 miliardi di dollari), al secondo il Giappone (1.060 miliardi) e al terzo la Cina e Hong Kong (1.010). Quindi seguono il Canada, l’India, il Brasile, Taiwan.

La sede della Borsa a New York
Caso strano si tratta delle nazioni contro le quali si è soprattutto accanito Donald Trump minacciando e realizzando dazi globali: contribuiranno a generare «migliaia di miliardi di dollari che utilizzeremo per ridurre le tasse e ripagare il nostro debito pubblico». Le altre nazioni «ci hanno derubato per anni, sono patetici».
Il presidente degli Stati Uniti in questo modo conta di tagliare le imposte al ceto medio e alle aziende (che già pagano poco) e potrebbe affrontare con più serenità il pagamento degli interessi sui titoli del debito pubblico.
È un passaggio molto difficile per Trump. La politica dei dazi ha fatto crollare le quotazioni delle azioni a Wall Street, ha innescato una nuova crescita dell’inflazione soprattutto sugli alimentari (le uova hanno subito rincari stellari), ha fatto calare il dollaro, ha causato un clima di sfiducia nelle famiglie americane, fa temere una recessione economica.

Donald Trump
Il bitcoin al posto del dollaro sarebbe il colpo di grazia. La divisa americana dal 1945, dalla fine della Seconda guerra mondiale, ha sostituito la sterlina inglese come moneta di riserva internazionale, custodita nelle casseforti di tutte le banche centrali del mondo. L’affidabilità e la stabilità del dollaro sono stati gli assi del suo successo con grandi risultati sul piano finanziario e politico per gli Usa. Però negli ultimi anni il primato del dollaro è stato sfidato dallo yuan cinese e da una nuova possibile valuta all’esame dei paesi Brics+ (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica più un gruppo di altre nazioni). Ma la sfida, finora, non ha spodestato il “re dollaro” dal suo trono.
Adesso arriva anche il terremoto dei dazi globali: sull’arena potrebbe affacciarsi il bitcoin, o un’altra moneta digitale killer del dollaro. Ma con una fortissima differenza: non sarebbe più garantita dalla potentissima banca centrale americana, la Federal Reserve, ma dominata da mani ignote di privati. Si potrebbe affacciare una divisa virtuale permeabile ad ogni possibile incursione speculativa.