La via Emilia di
don Camillo e Peppone

Una statua romana a Modena

La Via Emilia è una consolare anomala. Non partiva da Roma per diramarsi verso l’Italia e il nord Europa, come le altre strade. Ma fu costruita per collegare Rimini a Piacenza, attraversando la Pianura Padana costellata di paludi e boschi. Lungo la Via Emilia, connessa a Roma mediante la Via Flaminia, fiorirono città ricche ancora adesso (Bologna la grassa, Parma, Modena, Reggio Emilia) con teatri, anfiteatri, terme, templi, acquedotti, fognature. Ce ne parla Maria Luisa Berti.

Modena, la romana Mutina, fu una delle più belle città dell’Impero ma molto si è perduto a causa dell’esondazione dei fiumi avvenuta durante il Medioevo. Nel parco archeologico a cielo aperto, posto all’interno del parco Novi Sad, tra lo Stadio Braglia e il Foro Boario, si può passeggiare lungo le vie romane, in particolare lungo la grande strada che da nord conduceva a Mutina. Nella strada, larga ben 5 metri, si possono notare i solchi profondi di carri a testimonianza dell’intenso traffico in entrata e in uscita dalla città, allora ricco centro commerciale.

Anfore romane a Modena

All’interno del parco, infatti è venuta alla luce una necropoli con numerose tombe e monumenti funerari, due edifici rurali, vasche e impianti produttivi, e tre grandi discariche contenenti scarti di anfore e altri materiali archeologici. La maggior parte delle stele funerarie risale al I secolo d.C. Vi sono esposti manufatti funerari di età tardoantica, durante la quale per fare fronte alla scarsità di materia prima, le stele di età imperiale venivano smontate e riutilizzate come copertura di nuove tombe.

Il Lapidario Romano del Museo Civico raccoglie quanto trovato dargli archeologi negli ultimi 40 anni di scavo nella periferia modenese, con il monumento a Vetilia Egloge come simbolo di queste scoperte storiche così importanti.

Don Camillo e Peppone, Ara di Vetilia Egloge

Ara di Vetilia Egloge

Eravamo alla metà del I secolo d.C. e la romana Mutina era al massimo dello splendore quando la liberta Vetilia Egloge fece erigere un imponente monumento per se stessa, per il marito Lucio Valerio Costante e per il figlio. Vetilia era stata schiava, forse di origine greca o più genericamente orientale, come rivela il nome servile Egloge, utilizzato come cognomen, accanto al nomen latino tratto da colei che l’aveva liberata: Vetilia. Di condizione servile era stato anche il figlio, affrancato dallo sposo della madre, Lucio Valerio Costante, da cui ricevette il nome. I membri della famiglia rivestivano cariche importanti. Il marito era un decurione, una delle massime cariche cittadine. Il figlio era “apollinare e augustale”, ossia membro di due congregazioni cittadine addette al culto dell’imperatore.

Di particolare interesse sono le testimonianze relative alle aree sepolcrali che si estendevano lungo la via Emilia a est della città, come la monumentale ara funeraria del centurione Clodio, il frammento con raffigurazione di prora di nave, forse appartenente ad un comandante di flotta di età augustea, e le stele funerarie del tonsor Lucius Rubrius Stabilio e del tintore di tessuti Caius Purpurarius Nicephor.

Un busto romano a Modena

Nelle vicinanze di Modena, a Fossalta, durante i lavori di ampiamento di un edificio, è stata ritrovata la testa di un leone ricavata da un blocco di calcare bianco. Insieme ad altre tre teste di leoni, probabilmente faceva parte di un sepolcro funerario che si trovava lungo la via consolare. Simili statue erano tipiche dell’architettura funeraria romana tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. A Modena ce ne sono altre quattro, tre nel Duomo e una nel Lapidario Estense.

Reggio Emilia fu costruita a cavallo della via Emilia, che ancora oggi ne costituisce il Decumano (asse est-ovest). Nel punto esatto in cui esso incrocia il Cardo – si può vedere una targa commemorativa del Gromae locus. Da qui ha avuto inizio la costruzione della città, tra il 187 e il 185 a.C. La groma era infatti l’asta di legno che i romani conficcavano nel terreno per cominciare a tracciare le linee dei nuovi insediamenti.

Sorse come presidio militare lungo la via. La provincia romana divenne ben presto una delle aree più floride dell’impero e Reggio conquistò il rango di città: Regium Lepidi.

Don Camillo e Peppone, Gromae locus di Reggio Emilia

Gromae locus di Reggio Emilia

I primi coloni arrivarono dal 193 a.C. Operazioni di bonifica e centuriazione accompagnarono la sistemazione del Forum, ossia del centro commerciale e amministrativo, luogo di scambio tra le popolazioni celto-liguri ed etrusche ed i coloni romani. L’area fu interessata dalla costruzione di domus, le abitazioni signorili di cui sono stati rinvenuti eleganti pavimenti in opus signinum (o cocciopesto). Utilizzando l’argilla come base, gli artigiani la pavimentavano con tessere di marmo bianco o nero disposte a formare motivi geometrici. Durante lo scavo condotto all’agenzia del Credem è stata rinvenuta gran parte di un pavimento in opus signinum, ancora conservata in loco, nella quale le tessere di marmo bianco compongono un elegante motivo a meandro (labirinto), mentre al centro sono disposte a forma di piccole croci. Tali decorazioni testimoniano che intorno alla prima metà del I secolo a. C., in età repubblicana, gli abitanti di Regium Lepidi avevano raggiunto un buon tenore di vita, di cui godevano soprattutto le classi più abbienti. In questa area, alla fine del I secolo d. C., in piena età imperiale, la piazza del Foro venne ampliata e iniziò la costruzione di imponenti edifici al posto delle precedenti domus.

L’area divenne il vero centro monumentale della città romana, come attesta il ritrovamento di una piccola aula absidata, probabilmente una basilica, ossia il tribunale civile. Nella zona ad est del fiume Crostolo furono costruiti strade, ponti e acquedotti riscoperti recentemente durante gli scavi per la costruzione del Mire, futura sede del museo archeologico. La sede della presidenza del Credem, in palazzo Spalletti Trivelli, custodisce, nel piano interrato, un prezioso sito archeologico, che permette di accedere alla piazza del Foro.

Don Camillo e Peppone, Don Camillo e Peppone

Don Camillo e Peppone

Sotto la cripta della Cattedrale è stato scoperto un mosaico del IV secolo d.C. con una decorazione geometrica a motivi circolari interrotti da quadrati con all’interno coppie di personaggi. Al centro dei cerchi in un quadrato sono raffigurati coppie di danzatrici e danzatori che suonano il cembalo. Il mosaico rinvenuto negli scavi archeologici effettuati tra il 2007 e il 2009 testimonia la storia artistica, urbanistica e sociale della città dalla fine dell’età imperiale all’Alto Medioevo.

Il vestibolo e l’atrio del Palazzo dei Musei ospitano una preziosa raccolta di frammenti musivi di origine romana e medievale ritrovati durante gli scavi presso abitazioni private e presso architetture religiose cittadine. All’interno del Chiostro e del Portico dei Marmi si trovano invece epigrafi e frammenti di architettura funeraria provenienti dalle necropoli di Regium Lepidi. Ai Giardini pubblici è custodito Il Monumento ai Concordii, un recinto funerario rinvenuto a Boretto nel 1929.

A Reggio Emilia nacque la bandiera d’Italia, che fu mostrata per la prima volta in questa città il 7 gennaio 1797. Venne esposta nella settecentesca Sala del Tricolore del municipio, che ospita le sedute del consiglio comunale.

Brescello il paese di Don Camillo e Peppone

In provincia Brescello, nota per i film di Don Camillo e Peppone, fu fondata dai Galli Cenomani, e i Romani con la conquista vi costruirono la città di Brixellum che divenne un porto di notevole importanza, grazie soprattutto al controllo sui traffici lungo l’asse fluviale del Po. Il museo Archeologico della città conserva vari reperti rinvenuti durante gli scavi iniziati alla fine del XIX secolo, conservati in varie sezioni: la necropoli, la domus, l’Ercole, l’occupazione del territorio, anfore e commerci, urbanistica e la storia dell’archeologia a Brescello.

Tra Reggio Emilia e Parma sorgeva Tannetum ora identificata con S.Ilario d’Enza-Gattatico. Gli scavi archeologici tra Gattatico e S.Ilario d’Enza, cominciati dal 2016, sono nati dalle ricerche di dottorato di Paolo Storchi, presso l’Università La Sapienza di Roma. Presso la stazione ferroviaria di S.Ilario d’Enza è stata scoperta una strada romana pavimentata con ciottoli di fiume, pavimentazione tipica della strade romane urbane che permette di identificare qui l’antica città romana.

Secondo Polibio e Livio, Tannetum era un villaggio celtico che ospitò una guarnigione romana in difficoltà durante la discesa di Annibale in Italia. La scoperta di questo antico villaggio, la localizzazione dell’anfiteatro, il rinvenimento di una villa rustica e di vari canali che si inseriscono armoniosamente nella centuriazione sono il frutto di questi scavi che hanno portato alla luce anche monumenti post romani come il fortilizio medioevale del Castellaccio. Recentemente la campagna internazionale di scavo archeologico, guidata dall’Università di Pavia e diretta dal professor Paolo Storchi, ha coinvolto 14 archeologi da India, Iran, Grecia, Russia, Turchia e Italia, e si è svolta su concessione del ministero della Cultura.

Quarto articolo – Segue