Ricordo un mio mattino ad Addis Abeba, capitale dell’Etiopia. Camminavo a piedi, con due funzionari statali che mi accompagnavano a un incontro col Ministro dell’Industria. In una piccola piazza stava inginocchiata per terra una donna: non avevo mai visto uno scheletro coperto soltanto dalla pelle. Intorno a quella donna c’era un cerchio di piccoli sassolini bianchi, non sono mai riuscito a capire perché.

Un detenuto entra in cella
Inginocchiarmi accanto a lei, per metterle davanti cinquanta dollari, è stata una mia reazione spontanea. I due funzionari che mi accompagnavano mi hanno lodato: «lei, professore, è una persona buona e compassionevole, ma la sua elemosina non servirà a nulla perché lei è già morta».
Sull’aereo che mi riportava a Roma avrei dovuto dormire, invece quella scena mi tornava in mente. Se qualcuno è buono e compassionevole dovrebbe sentirsi soddisfatto, contento, invece io non mi sentivo così. A un certo punto ho capito che la mia non era bontà o compassione, ma una profonda vergogna. Un sentimento che mi feriva, perché non è accettabile che una persona sia lasciata morire di fame. E la responsabilità è di tutti, perché spetta a ognuno fare qualcosa. La vergogna è la madre della responsabilità.

Locandina del convegno su sport e carcere
Le carceri italiane assistono a suicidi (quasi 80), detenuti affetti da dipendenza, che dovrebbero essere curati e non reclusi, donne che tengono bambini in carcere, assenza di cure mediche e psicologiche e un enorme sovraffollamento. Forse molti non si meravigliano che il governo che abbiamo non consideri le carceri fra le sue priorità, e che anche, con molti provvedimenti nuovi, aumenterà a dismisura il sovraffollamento. Però nei paesi democratici quello che fa la politica dipende dalle convinzioni e percezioni dei cittadini. Quello che mi preoccupa non è l’indifferenza di Giorgia Meloni e dei suoi uomini, ma quella di moltissimi cittadini italiani che girano la testa dall’altra parte, e non sono giunti neppure alla vergogna per un tale orrore in un paese del mondo dei diritti umani. È triste doverlo dire ma nel mio lungo lavoro in giro per il mondo, posso provare che la vergogna è spesso la madre della responsabilità. Non siamo insensibili, ma non crediamo più in uno stato che dovrebbe essere responsabile.
Per fortuna molte organizzazioni e associazioni della società civile aiutano i detenuti con l’istruzione, il lavoro e l’arte. Lo sport rappresenta da sempre un grandissimo strumento di riaffermazione della persona e della sua fiducia in se stesso, per due ragioni. In primo luogo perché tutti sono assoggettati alle stesse regole, in qualsiasi sport, e nessuno lo nega, in nessun angolo del mondo. Inoltre lo sport costringe a comprendere che il successo, il riscatto, viene dall’impegno e dalla fatica. Uscire da un carcere per una partita di calcio significa molto per qualcuno che vive la sua vita in una cella di pochi metri quadri.