Le recenti anticipazioni di Milena Gabanelli sul Corriere della Sera, sulla bozza del ddl del ministro della Salute orientata ad un doppio canale contrattuale convenzionale/dipendenza, relativo ai medici del ruolo unico delle cure primarie, ha riavviato una discussione di fatto bloccata sin dall’epoca del ministro della Sanità Speranza a causa soprattutto del diniego, ripetuto a lungo, da FIMMG e rappresentanza ordinistica a ridiscutere l’impostazione libero professionale e convenzionale alla base dei loro attuali ruolo e collocazione nel SSN. Diverse Regioni da tempo sono favorevoli. Tra queste la Regione Lazio.

Orazio Schillaci ministro della Salute
Nella bozza si prevede un orario di servizio di 38 ore per tutti i MMG (Medici di medicina generale, ovvero i medici di base n.d.r.) e se ne dispone una diversa articolazione tra attività distrettuali e attività ambulatoriali in funzione del numero di assistiti in carico a ciascun professionista. Per i titolari di un numero di scelte compreso da 400 a 1000, 12 ore verrebbero dedicate all’ambulatorio e 26 alle esigenze della programmazione territoriale.
Sembra essere previsto, come deroga, il mantenimento come diritto acquisito del rapporto di convenzione per tutti coloro che abbiano maturato una certa anzianità nel ruolo. Una opzione sensata -sottolineata da Roberto Polillo e Saverio Proia in un articolo su Quotidiano Sanità- «perché siamo convinti che le grandi riforme non debbano essere imposte con la forza ma rendendone palesi i vantaggi».
Esiste oggi un fronte ampio e articolato a favore di un rapporto di dipendenza dei MMG con il SSN, impegnato nella valorizzazione del medico di medicina generale nei processi in corso di riforma della sanità territoriale e delle cure primarie con il superamento dell’attuale modello, con una chiara idea di approccio più integrato all’interno del SSN. Al suo interno diversi movimenti dei giovani MMG organizzati sul piano nazionale. Osservano Polillo e Proia: «Ora la situazione è cambiata perché le nuove generazioni di MMG non solo non trovano vantaggio nel mantenimento del rapporto di convenzione, che ha invece garantito posizioni di prestigio nelle casseforti della professione (ENPAM e Ordini professionali e FNOMCeO) ai vecchi titolari di convenzione, ma ne subiscono in toto gli effetti negativi: isolamento professionale, eccessivo carico burocratico, mancanza di prospettive di carriera reali, mancanza di ferie e di altri istituti di protezione».

Un medico
Un fronte maggioritario fra i cittadini e gli operatori sanitari a favore di un protagonismo e di una valorizzazione del MMG nella sanità pubblica c’è e deve farsi sentire di più. Migliorare l’assistenza sociosanitaria per i cittadini facendo funzionare le Case di comunità nel distretto sanitario dipende rilevantemente dalla ridefinizione contrattuale e professionale della collocazione dei MMG al suo interno. A partire finalmente da una formazione specialistica universitaria che chiuda con la formazione gestita e svolta in proprio dal sindacato professionale.
I tempi per l’avvio delle Case di comunità sono già arrivati.
La definizione del rapporto dei medici del ruolo unico di assistenza primaria con il SSN andava affrontata e risolta da tempo. Le motivazioni, numerose, alla base di tale esigenza, sono evidenti con una ricaduta positiva tanto per il SSN che per i medici e per i cittadini.
Oggi i medici di medicina generale sono lavoratori autonomi, pagati dal Servizio sanitario, e possono organizzare il loro tempo e le modalità di lavoro come meglio credono.
Sappiamo per averlo visto nei Servizi sanitari regionali il risultato riferito agli esiti delle AFT, degli UCP e UCCP e delle strutture di controllo dell’appropriatezza prescrittiva. Oggi fuori dal perimetro degli accordi sindacali ogni richiesta dello Stato e delle Regioni è destinata a cadere nel vuoto.
Se questa consolidata ottica non cambia il nuovo sistema della sanità territoriale tra PNRR e DM77, è destinato a deragliare. La gestione delle multi-cronicità, l’aumento delle fragilità, la programmazione dell’assistenza domiciliare non possono essere gestiti con l’autorganizzazione e la scelta individuale del libero professionista.
Il MMG con lo status di medico, dirigente del SSN vedrebbe allineati i trattamenti fra tutti i medici che lavorano nella sanità pubblica, godendo delle stesse tutele e degli stessi diritti che ora non ha nella sua collocazione come “parasubordinato”.

Una Casa della salute a Roma
«Una retribuzione equiparabile a quella della dirigenza ospedaliera (caratterizzata dall’essere piena e quantificabile sin dal primo giorno di servizio, su base oraria, equa fra pari, con scatti di anzianità, indennità varie, tredicesima mensilità e TFR)».
Una organizzazione della sanità territoriale, che le istituzioni sanitarie stanno organizzando sul modello di cui al DM 77, richiede una modalità di lavoro multidisciplinare. Una condivisione di sedi di lavoro ed una interoperabilità con gli altri professionisti, associazionismo e sedi uniche, che non si conciliano con la permanenza di un modello fondato sugli studi medici e sull’adesione volontaria e l’autorganizzazione.
Nel Lazio da sempre persiste una variabilità tra presenza di strutture sanitarie e figure professionali sanitarie tra Roma e la restante parte della Regione, causa questa di diseguaglianze territoriali e fra i cittadini a fronte del pari diritto di tutti ad essere curati nello stesso modo.
Accade notevolmente nel caso dei MMG a causa del turn over e del mancato ricambio. Una capillarità, prossimità del medico di famiglia che il sistema degli “studi” non riesce a soddisfare. Un modello, per cause conosciute, crescentemente massimalista per cui la libera scelta non è un principio attuato in tutte le sue declinazioni ma rappresenta solo un argomento della polemica odierna di settori di sindacalismo professionale da sempre influenti per peso elettorale e per posizioni di potere.
Quanti, con un’idea autoreferenziata del proprio ruolo, pensano che non ci sia nulla da cambiare e seguitano ad arroccarsi nella mera difesa della conservazione del modello libero professionale e del rapporto convenzionale “parasubordinato”, non tengono conto degli innegabili miglioramenti che discenderebbero dal rapporto di dipendenza e derubricano l’interesse generale che, invece, deve stare alla base delle scelte politiche a tutela di un diritto primario quale è quello alla salute.
Rino Giuliani Responsabile sanità dello SPi CGIL di Roma e del Lazio