“Né più mai toccherò le sacre sponde
Ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell’onde
Del greco mar, da cui vergine nacque”

Cecilia Sala
Penso che la prima delle quattro strofe da cui è composto il sonetto “A Zacinto”, che Ugo Foscolo compose tra il 1802 e il 1803, sia particolarmente appropriata in questo giorno così gaudioso per l’Italia e per la nostra compatriota Cecilia Sala.
Mentre il poeta celebrò il dolore dell’esilio, sorte amara che per lungo tempo sarebbe potuta toccare a Cecilia nel buio profondo di un carcere persiano, il nostro Paese ha saputo riportare in patria una sua figlia e così evitarle un esilio prigioniero e ingiusto in una terra straniera.
La patria, questo concetto ideale e spirituale spesso vituperato e financo dimenticato, è un valore sacro che comprende una miriade di doveri, che hanno precedenza sui diritti. Tra questi v’è anche quello di adoperarsi in ogni dove e con ogni mezzo per porgere il braccio ai compatrioti esenti da colpa e bisognosi di aiuto, facendo in modo che non abbiano a piangere la patria lontana come fece il poeta con la sua isola.
Oggi la patria italica è riuscita nell’impresa di strappare una sua figlia dalle spire di un paese oscurantista e questo riempie di gioia i cuori degli italiani, perché il “cor” non ha colore, non è nero, non è rosso e non è bianco, è cuore e basta.
Oggi siamo tutti italiani, oggi siamo tutti con e per Cecilia.