Zuckerberg e Silicon Valley
si sottomettono a Trump

Zuckerberg, Mark Zuckerberg

Mark Zuckerberg

In inglese “fact-checking”, verifica dei fatti in italiano. La frase non fa più parte del vocabolario di Mark Zuckerberg, il proprietario della potentissima galassia mondiale dei social media (Facebook, Instagram, WhatsApp e Threads). L’amministratore delegato di Meta cancella la commissione anti bufale, il piano di “fact-checking” introdotto dal 2016 nei suoi diffusissimi canali sociali su Internet.

Zuckerberg, fino a poco tempo fa sostenitore dei democratici e di Joe Biden, fiero avversario dei repubblicani di Donald Trump, recita un singolare “mea culpa”: «È tempo di tornare alle nostre radici sulla libertà d’espressione». Non solo: si appiattisce sulle tesi di Donald Trump e di Elon Musk, il carro armato tecnologico-comunicativo nella Rete del vincitore delle elezioni presidenziali americane. Zuckerberg annuncia: il sistema adottato da Meta di “fact-checking” causava troppi errori e «un’eccessiva censura».

In sintesi: sposa le tesi sulla censura di Trump da lui contestate proprio realizzando una verifica dei fatti per stanare falsità e bufale circolanti in abbondanza sui social media. E inverte la rotta. Annuncia di voler realizzare il “Community Notes”, un nuovo meccanismo di verifica dei contenuti già adottato da Musk per X, il suo canale sociale ex Twitter. Su X le “Community Notes” consentono agli utenti di scrivere note esplicative sotto tweet, immagini o video.

Donald Trump

Il fondatore di Facebook (che apre le porte del consiglio di amministrazione di Meta a John Elkann) ufficializza in modo clamoroso il suo addio ai democratici e l’ingresso nel campo dei repubblicani e del vincitore Trump. Del resto la maggior parte dei miliardari e degli imprenditori statunitensi sta facendo la stessa scelta. Il fenomeno riguarda soprattutto i “capitani” dell’industria dell’alta tecnologia concentrati nella Silicon Valley, la ricchissima regione della California al centro del miracolo dell’avveniristica industria digitale americana, ora alle prese con il boom dell’Intelligenza Artificiale (AI in sigla). La Silicon Valley un tempo libertaria e progressista si sposta verso le posizioni conservatrici con tratti reazionari di Trump. Musk, l’uomo più ricco del mondo (auto elettriche, canali sociali, satelliti, astronavi), non riesce a contenere la gioia per la notizia: «È davvero fantastico».

Alla chetichella quasi tutti i miliardari americani stanno voltando le spalle ai democratici per bussare alla porta di Trump, che si insedierà il 20 gennaio come nuovo presidente degli Stati Uniti d’America.

Elon Musk con il figlio in braccio

I contraccolpi sono pesantissimi soprattutto sul piano politico e della libertà dell’informazione. Nei giorni scorsi il Washington Post, il secondo quotidiano degli Usa dopo il New York Times, di proprietà del miliardario Jeff Bezos, non ha fatto una bella figura. Ha censurato e non ha pubblicato una vignetta satirica di Ann Telnaes contro Bezos. L’autrice ritrae i magnati della Silicon Valley Bezos (Amazon), Zuckerberg (Meta), Sam Alman (OpenAI), Patric Soon-Shiong (Los Angeles Times) inginocchiati assieme a Topolino davanti a Trump al quale offrono sacchi di dollari. Ann Telnaes, disegnatrice e collaboratrice del Washington Post, protesta per la censura subita e lascia il quotidiano, considerato un baluardo della democrazia americana. Accusa: il rifiuto di pubblicare la vignetta è «una svolta epocale e pericolosa per la stampa libera».

La competizione imprenditoriale e politica tra Musk e Zuckerberg è stata accesa negli ultimi anni. Nel 2023 si parla perfino di una sfida gladiatoria. Il primo dice: «Sono pronto a battermi in un match in gabbia, se ci sta anche lui». Il secondo risponde: «Mandami la posizione». Per mesi i giornali parlano addirittura di un duello al Colosseo tra i due antagonisti entrambi ammiratori della grandezza dell’antica Roma. Ma poi alla fine la sfida gladiatoria svanisce e ognuno va per la sua strada. Ora invece le strade sembrano incrociarsi nel segno di Trump presidente degli Stati Uniti. Il successo rende simpatici, diceva Charlie Chaplin.