Eastwood, quando
la verità non è giustizia

Con “Fino a prova contraria” del 1999, Clint Eastwood si schiera contro la pena di morte, o almeno contro un certo modo di applicarla: Steve Everett è un giornalista, licenziato per la sua incapacità di far compromessi con il Potere e chi lo incarna, un caratteraccio che annega nella bottiglia. Il caso lo fa incrociare con un condannato a morte, per l’omicidio di una donna incinta. Lui dubita, tanto fa che riesce a scagionare il condannato.

Eastwood, Clint Eastwood

Clint Eastwood

Vent’anni dopo arriva “Richard Jewell”: una guardia di sicurezza sventa un attentato durante un concerto, ma viene accusato di essere lui l’attentatore. FBI e giornali al seguito sono certi della sua colpevolezza, lo perseguitano, distruggono la sua vita, ma Jewell è innocente, alla fine è scagionato. Quante volte abbiamo visto, nella realtà, colpevoli certi che certamente non lo erano, vittime di intrighi e pregiudizi.

Il trittico eastwoodiano si completa con “Giurato numero 2”; forse l’ultimo film di questo grande cineasta, giunto ormai al suo “My way”. Come ogni suo film sobrio, essenziale, senza ombra di retorica; come il linguaggio della prateria: Yep o Nope. Si indovina che anche questa volta pochi sono stati i ciak: quasi sempre “buona la prima”.

Eastwood in più di un’occasione ha riconosciuto di aver contratto un debito con Sergio Leone. Certo, due stili diversi: l’italiano è maestoso, immaginifico, ha l’epopea nel sangue, “Iliade” e “Odissea” i suoi punti di riferimento: nel tempo impiegato per il prologo di “C’era una volta il West” un maestro come John Ford racconta metà della sua storia.

Sergio Leone

A parte le dilatazioni e i tempi, sia Eastwood che Leone “vedono” il film prima ancora di allestire la prima scena. Hanno tutto ben chiaro: immagini, espressioni, frasi, ritmi, musiche, pause, dissolvenze. Leone è fluviale; Eastwood è rarefatto, ma entrambi hanno il gusto della battuta; cinici non indifferenti, disincantati non estranei. I loro personaggi sono solitari eroi loro malgrado, fanno quello che è giusto. Non si attendono nulla, nulla chiedono.

Giurato numero 2”, è anche la sintesi di esperienze e modi di “sentire” di due generazioni apparentemente lontane che si intendono benissimo: il novantaquattrenne decano dei registi americani, cantore di un’umanità che strappa la vita con le unghie e i denti; e un giovane sceneggiatore, Jonathan Abrams, capace di distillare una storia dura e senza smancerie, in sintonia con quelle in cui si identifica Eastwood.

In sintesi: una coppia di giovani con brutte esperienze alle spalle. Lei è incinta, forse le cose si aggiustano… Lui è sorteggiato per fare il giurato in un caso di femminicidio.

Giurato numero 2” pone una questione tremendamente seria, il rapporto tra diritto e valori, quando questi ultimi cessano di essere tali, e si è disposti a ignorali, calpestarli perfino… Lo stesso Eastwood fornisce una chiave di lettura: «Guarda con attenzione alla zona grigia, a tutto ciò che accade tra il bianco e il nero della vita quotidiana. Spero che faccia scattare una domanda: che cosa fareste voi nei suoi panni?».

La battuta cruciale: «Qualche volta la verità non è giustizia». Andrebbe scolpita nelle aule di giustizia. Altro che la “Legge è uguale per tutti”.