Saffo, Ipazia, Fatima Al-Fihriya, Abella Salernitana, Dorotea Bucca. La strada dell’emancipazione femminile è dura e lunga soprattutto nel mondo della cultura. Ma alcune donne già nella Grecia e in Roma antica e poi nel Medioevo sono riuscite ad emergere nel mondo degli studi superiori e poi delle università un tempo dominio incontrastato degli uomini. Maria Luisa Berti ci racconta come avvenne.
La più antica università del mondo tuttora in funzione si trova a Fez, in Marocco. È stata una donna, Fatima Al-Fihriya, a fondare nel 859 dopo Cristo una moschea che divenne una madrasa, una scuola che fu considerata la più antica istituzione superiore dell’Islam: al-Qarawiyyin.
Divenne ufficialmente Università con decreto reale nel 1963, dopo l’indipendenza del Marocco. Già nel 1207 era stata rilasciata una laurea in medicina. Fatima Al-Fihriya era figlia di un ricco mercante, ben istruita come la sorella Maryam. Alla morte del padre le due sorelle elargirono alla comunità il cospicuo denaro ereditato. Maryam diresse la costruzione della moschea degli Andalusi, mentre Fatima si occupò della moschea di al-Qarawiyyin che non fu solo luogo di culto ma anche biblioteca e università. Vi si insegnavano il Corano e la Figh, cioè la legislazione islamica, la filosofia, la matematica, le scienze naturali. Materie che poi Fatima frequentava attirata dagli studiosi di fama che vi insegnavano. Fatima morì nel 880, ma la sua Università è ancora in funzione anche se dislocata in un’altra zona di Fez; la moschea e la biblioteca sono ancora presso l’antico complesso fondato da Fatima.
Nel Medioevo né le scuole né le Università erano accessibili alle donne e la Chiesa le escludeva dall’insegnamento pubblico della teologia o delle questioni di fede. Nelle comunità religiose le donne avevano comunque un notevole grado di istruzione e condividevano il sapere all’interno delle loro comunità.
Faceva eccezione la Scuola Medica Salernitana, la più importante istituzione medica nell’Europa medioevale del IX secolo, considerata una precorritrice delle future università. Era frequentata anche da donne studenti e docenti: le Mulieres Salernitanae.
Furono quelle donne le prime a promuovere studi anatomici e a scrivere testi di anatomia diffusi in tutta Europa per mezzo millennio. Le Mulieres Salernitanae erano di buona famiglia per cui potevano permettersi di studiare e di approfondire i loro studi, trattando anche argomenti sessuali al di là dei moralismi e dei condizionamenti religiosi. Tra di loro si ricordano Abella Salernitana, che scrisse trattati sulla bile e sul seme degli uomini, Mercuriade, Costanza Calenda e la famosa Trotula. In questa scuola si parlava già di prevenzione e di sana alimentazione e, invece di salassi od operazioni, si consigliavano bagni, massaggi e terapie con erbe medicinali. Tra i vari scritti giunti fino a noi interessante è il De Ornatu Mulierum attribuito a Trotula De Ruggiero, libro ritoccato nel corso dell’Ottocento dall’abate Giuseppe Manuzzi e il cui titolo divenne Il libro delle cose segrete delle donne.
«Le donne di Salerno -vi si legge- pongono una radice di vitalba nel miele e poi con questo miele si ungono il viso, assumendo uno splendido colore rosato. Altre volte per truccare viso e labbra ricorrono a miele raffinato e aggiungono vitalba, cetriolo e un po’ di acqua di rose. Fai bollire questi ingredienti fino a consumarne la metà, poi ungi le labbra di notte e lavale al mattino con acqua calda. Questo rassoda la pelle, la rende sottile e morbidissima e, se è screpolata, la guarisce».
Avere cura del proprio corpo e della propria bellezza era una forma di libertà dal mondo chiuso dominato dagli uomini e agli uomini non piaceva. Inutile dire che la loro opera attirò critiche anche malvagie, come se diffondessero opere di stregoneria e volessero sovvertire l’ordine naturale delle cose.
Dorotea Bucca, o Bocchi o Bucchi (Bologna, 1360/1436) viene ricordata per essere stata la prima docente universitaria dell’Alma Mater Studiorum, quando alle donne era vietata l’educazione superiore e l’esercizio di numerose professioni. La avviò agli studi il padre, Giovanni Bucco, filosofo medico e docente di filosofia e medicina. Dopo aver studiato lettere e medicina, Dorotea conseguì il dottorato in filosofia e succedette al padre nella di lui cattedra per oltre 40 anni. Non esistono fonti certe a prova della sua docenza universitaria ma Dorotea è ricordata come la prima docente donna dell’Università bolognese e a lei lo scultore di Casa Fibbia (1680/90) dedicò uno dei busti in terracotta di una serie di ritratti di donne bolognesi illustri.
Secondo Tommaso Duranti (Di donne, università medievali e internet) l’attività universitaria di Dorotea sarebbe confermata da Francesco Serdonati, docente di grammatica e poligrafo, nella sua addizione al libro che M. Giovanni Boccaccio scrisse sulle donne illustri e famose, dove si legge: «– Giovanni Bucco Bolognese Filosofo, e Medico di gran fama hebbe una figliuola nomata Dorotea, la quale s’esercitò parimente nelle lettere, e fece tal profitto, che ancor essa meritò di conseguire l’insegne del Dottorato nello studio di Bologna nella scienza di Filosofia, e poco appresso hebbe una pubblica lettura in quel nobilissimo studio l’anno 1436, come ancora oggi appare nella camera di Bologna al campione de lettori stipendiati, ed esercitò molti anni tale uficio con suo grande onore, e con sodisfazione di tutta la Città, e a udir lei concorreano molti scolari d’ogni nazione, cosa veramente rara, e degna d’esser notata, e ammirata (Serdonati 1596, 578)».
Queste donne riuscirono ad emergere in un mondo dominato dagli uomini, anche nel campo della cultura e della scienza, grazie alle loro famiglie agiate e colte ma soprattutto per merito delle loro capacità intellettuali e della loro forza interiore.
Quante altre donne hanno lottato nella loro vita e lungo secoli e millenni per emanciparsi in un mondo di uomini? Oggi in molti paesi le donne sono ancora relegate in casa nel loro ruolo di madri e mogli, perseguitate, torturate e uccise se tentano di ribellarsi e, anche nelle società più emancipate, non si è raggiunta la piena parità di diritti.
Secondo articolo – Fine