
Giorgia Meloni
Spara: quando votate «scrivete Giorgia». Per cambiare l’Europa «scrivete sulla scheda Giorgia». Giorgia Meloni è martellante in un bagno di folla. Nell’intervento alla conferenza programmatica di Fratelli d’Italia di Pescara vuole sfondare nel rapporto diretto con gli elettori, in particolare con quelli delle classi popolari.
Gli dà del tu. Si definisce una del popolo. Li invita a chiamarla semplicemente «Giorgia». Ripete: «Scrivete Giorgia» sulla scheda elettorale anche senza il cognome Meloni. Assicura che si può fare, il voto è valido perché è Giorgia Meloni detta Giorgia. Anche nella pubblicità elettorale sugli autobus c’è scritto: “Con Giorgia”. È il leaderismo spinto, lei quasi viene prima del partito, di Fratelli d’Italia.
Le valanghe di applausi galvanizzano nei comizi. Non si ferma un attimo nella lunga campagna elettorale per l’Europarlamento. Comizi, convegni, incontri, televisioni, giornali, Internet, manifesti pubblicitari. Al comizio di piazza del Popolo a Roma trasforma le Europee in «un referendum fra due visioni opposte». Si presenta come la leader indiscussa della destra, una persona del popolo, lontana dalle élite italiane ed europee. Attacca la sinistra elitaria, tenta di sottrarre consensi agli alleati di governo Salvini e Tajani. Cerca d’intercettare le domande di sicurezza dei cittadini dando fondo alle promesse populiste sulle tasse, gli immigrati, la criminalità. Punta molto sulla riforma dell’elezione diretta del premier: se stessa eletta dal popolo come capo del governo. Ce la farà a far approvare dal Parlamento la riforma costituzionale? Si gioca tutto, annuncia la sfida: «O la va o la spacca». La sfida, lo sa bene, a Silvio Berlusconi e a Matteo Renzi andò male. Non ha paura di un referendum, anche se perdesse non si dimetterebbe: arriverà con il governo «alla fine dei 5 anni» della legislatura.

La pubblicità elettorale di Giorgia Meloni su un autobus a Roma
Tuttavia al di là degli applausi e delle platee osannanti, qualcosa non funziona. O almeno teme che non funzioni. Gli ultimi sondaggi elettorali non coronano le speranze della presidente del Consiglio e presidente di Fratelli d’Italia. Le rilevazioni demoscopiche, le ultime pubbliche prima delle consultazioni, non sono esaltanti: Fratelli d’Italia resta sempre il primo partito italiano ma le stime gli assegnano circa il 27% dei voti rispetto al 30% di un anno fa. Certo difende il 26% dei consensi raccolto alle elezioni politiche del settembre 2022 ma la scivolata fa male anche perché il Pd sta risalendo la china. I sondaggi gli accreditano il 21% dei voti, è il secondo partito italiano ed è in crescita rispetto alle stime dei mesi scorsi (era scivolato anche al 18%). Elly Schlein non ha slogan incisivi, ha sulle spalle tante critiche interne dei capi corrente e della stampa progressista, ma sembra fare breccia come lo scudo della sinistra anti Meloni.
Meloni per recuperare ricorre anche al turpiloquio. Pesa qualche errore sulle sue spalle. Sospende il decreto legge del governo per reintrodurre il redditometro (vuole «vedere meglio» la normativa per combattere l’evasione fiscale). Va all’aeroporto militare di Pratica di Mare per salutare Chico (Enrico) Forti condannato all’ergastolo per omicidio negli Stati Uniti ed estradato in Italia per finire di scontare la pena. La tempesta giudiziaria piovuta sulla testa di Giovanni Toti, presidente di centro-destra della regione Liguria, poi non aiuta la campagna elettorale. Gli elettori sono impauriti da un eventuale aumento delle già alte tasse e da una minore saldezza sugli impegni di lotta alla criminalità.

Elly Schlein
Le contraddizioni sono molte. Sui sondaggi per il voto europeo dell’8 e 9 giugno pesa anche l’oscillazione tra il populismo in Italia e il moderatismo a Bruxelles, tra la consonanza con la presidente della commissione europea Ursula von der Leyen e la sintonia con i partiti dell’estrema destra della Ue. Non a caso a Madrid parla al convegno con i capi dei partiti della destra antagonista europea Abascal, Le Pen, Orbàn. Si rivolge al “caro amico” Santiago Abascal e lancia l’allarme: l’Europa è «un continente stanco, remissivo, viziato». Invece fatica ad avere un buon rapporto con Emmanuel Macron e Olaf Scholz. Cioè l’asse franco-tedesco, il perno sul quale ruota l’Unione Europea.