Come previsto dai sondaggi, Inàcio Lula ha vinto il ballottaggio con Bolsonaro per le presidenziali brasiliane. Ma la sua è stata una vittoria sofferta, conquistata al fotofinish e combattuta fino all’ultimo voto in un paese letteralmente spaccato a metà.
Con un competitor di estrema destra che alla fine si è rivelato un osso molto più duro del previsto. E al ballottaggio è riuscito a rosicchiare tre punti percentuali in più rispetto al primo turno, per chiudere con un bottino di 58 milioni di voti contro i 60 di Lula.
Un autentico miracolo, se si considera che il populista Jair Bolsonaro è un presidente uscente con alle spalle una prova di governo a dir poco negativa. Soprattutto nella gestione della salute pubblica, dove ha continuato per mesi a negare l’esistenza del Covid schierandosi a fianco dei no vax. Con il risultato di portare il Brasile a un tragico record: quasi settecentomila decessi. Per non parlare del resto: dal rifiuto di qualsiasi intervento contro la deforestazione selvaggia dell’Amazzonia, alla lotta contro l’aborto, dalla limitazione dei diritti civili al sostegno alla libera vendita di armi.
Responsabilità di Bolsonaro è stata, infine, la radicalizzazione della campagna elettorale per le presidenziali contro Lula, icona della sinistra brasiliana. L’ultimo confronto televisivo, a poche ore dal voto, è finito in rissa con accuse personali tra i due candidati a colpi di “bugiardo”, “corrotto”, “bandito”.
Il “Trump dei Tropici” rappresenta comunque un fenomeno politico da studiare con la massima attenzione. Perché siamo di fronte a un incredibile consenso elettorale conquistato nonostante la bassa reputazione del personaggio al quale nemmeno i sostenitori attribuiscono grandi qualità e capacità di governo.
Bolsonaro, come Trump, è riuscito a mettere insieme la destra, anche quella non estremista, per diventarne se non il leader, il rappresentante. Anche perché uno come lui non ha mai avuto paura di dire e fare cose di cui un moderato vecchia maniera si sarebbe vergognato a rendere pubbliche.
Ma non è possibile nemmeno liquidare il grande consenso elettorale di Bolsonaro con la sua spregiudicatezza e con il sostegno che gli hanno garantito gli Evangelici. Oltre, ovviamente, ai ricchi diventati ancora più ricchi grazie ai regali del governo del presidente di estrema destra: privatizzazioni, saccheggio dell’Amazzonia, eccetera.
Perché non può bastare l’appoggio di imprenditori, latifondisti, big dell’agroalimentare, autotrasportatori e tassisti a spiegare i 58 milioni di voti incassati da Bolsonaro il 30 ottobre. Per non parlare dei 23 deputati federali in più rispetto alla passata legislatura, contro l’incremento di dieci messo a segno dal PT, il Partito dei Lavoratori guidato da Lula.
Il fenomeno Bolsonaro segnala poi la sfiducia verso una sinistra che non è riuscita ad arginare la crescita delle disuguaglianze e non ha difeso come avrebbe dovuto i più deboli e indifesi. Infatti se non ci fosse stato Lula, con il vasto consenso popolare conquistato grazie al suo passato e per quello che ha fatto nei due precedenti mandati da Presidente, a ottobre, la sinistra avrebbe perduto le elezioni presidenziali. E oggi Bolsonaro sarebbe ancora alla guida del Brasile.