Villetti, il socialismo
in difesa dei più deboli

Inaugurata sabato mattina 21 maggio 2022 a San Giovanni Incarico (FR), la biblioteca comunale intitolata a Roberto Villetti, già direttore dell’”Avanti!” e deputato del Psi.

Roberto Villetti, Lo scoprimento della targa della biblioteca intitolata a Roberto Villetti

Lo scoprimento della targa della biblioteca intitolata a Roberto Villetti

La biblioteca è nata grazie alla donazione di oltre tremila volumi che provengono dalla sua libreria assieme a una bella collezione di musica classica e di film in DVD e videocassette. A curare la donazione di questo fondo è stato il suo amico e curatore testamentario, il professor Alessandro Roncaglia, già titolare della cattedra di Economia presso l’Università “La Sapienza” di Roma e socio dell’Accademia dei Lincei.

All’inaugurazione hanno partecipato oltre al sindaco, Paolo Fallone, al presidente del consiglio comunale che è anche delegato alla cultura, Gaetano Battaglini, all’assessore alla cultura della Regione Lazio, Mauro Boschini e al professor Roncaglia, Ugo Intini, già direttore dell’”Avanti!” e parlamentare del PSI, il professor Carlo Ippoliti, ordinario di Economia presso a “La Sapienza” e Carlo Correr, già direttore dell’”Avanti! della domenica”.

Nel presentare la manifestazione Battaglini ha illustrato l’attività di recupero e catalogazione da lui coordinata resa possibile anche grazie al prezioso lavoro dei ragazzi del Servizio civile Valentina Ricci, Ilaria Cerroni, Francesco Bortone e Giuliano Salvati.

Di seguito l’intervento di Alessandro Roncaglia.

Roberto Villetti, Il sindaco di San Giovanni Incarico Paolo Fallone e Ugo Intini

Il sindaco di San Giovanni Incarico Paolo Fallone e Ugo Intini

«Ho conosciuto Roberto Villetti nel 1966, quando molti di voi non erano ancora nati. Da allora, su un arco di più di cinquant’anni, abbiamo partecipato insieme alle occupazioni universitarie, alle manifestazioni contro la guerra nel Vietnam, la dittatura greca, il golpe di Pinochet in Cile; siamo stati insieme nelle redazioni di piccoli settimanali; abbiamo scritto insieme documenti politici, mozioni, pezzi di programmi di governo, emendamenti alla legge finanziaria; ho collaborato con lui quando era vicedirettore di “Mondoperaio”, poi vicedirettore e infine direttore dell’”Avanti!”, e a una serie infinita di trattative politiche; siamo stati insieme a tanti concerti. Soprattutto, abbiamo discusso per anni, quasi ogni giorno, di politica. Cercavamo di capire le vicende correnti e ci ponevamo tante domande. Alcune sui problemi più importanti del momento: il finanziamento dei partiti, le garanzie per gli imputati e la durata dei processi, flessibilità del mercato del lavoro e garanzie per i lavoratori… Altre domande riguardavano i problemi di fondo: cos’è il socialismo? Marx o non Marx? Rivoluzione o riforme? Giustizia sociale, diritti di libertà individuali, difesa dell’ambiente: vengono assieme o sono distinti?

Su ciascuno di questi temi non siamo mai arrivati a una conclusione definitiva. C’erano sempre aspetti, magari di dettaglio, sui quali non ci trovavamo d’accordo o quanto meno avevamo dubbi da risolvere, rinviati a una discussione successiva. Tante volte abbiamo cambiato idea; tante volte, sotto la pressione delle scelte politiche da compiere, siamo arrivati a un compromesso o abbiamo seguito vie diverse. Ma nel complesso gradualmente siamo arrivati a una comune concezione di fondo, che provo a riassumere.

Mauro Boschini, Carlo Correr, Carlo Ippoliti, Gaetano Battaglini, Alessandro Roncaglia, Paolo Fallone

Il socialismo delle origini, descritto in pagine bellissime di Giorgio Spini (uno dei nostri idoli e maestri, assieme a Paolo Sylos Labini, Norberto Bobbio ed altri), significava molto semplicemente stare dalla parte dei più deboli. La società è una realtà assai composita; cosa significa stare dalla parte dei più deboli va stabilito a seconda delle situazioni che ci si trova ad affrontare. Così nelle discussioni sullo Statuto dei lavoratori, uno dei primi progetti politici ai quali abbiamo partecipato (sotto la guida di Gino Giugni), valeva il motto di Giacomo Brodolini: “Da una parte sola, dalla parte dei lavoratori!”. Ma non ci persuadeva l’idea marxiana della progressiva ascesa del proletariato: già durante le occupazioni del 1968 avevamo elaborato assieme un documento sulla crescita di un “settore qualificativo” che avrebbe dovuto occupare uno spazio importante nei progetti riformisti.

Con il suo “Saggio sulle classi sociali”, Sylos Labini aveva dato solide fondamenta scientifiche al superamento della contrapposizione dicotomica tra proletariato e capitalisti. Piero Sraffa aveva posto le basi per una critica di altri elementi del progetto politico marxista, come la tesi della caduta tendenziale del saggio del profitto, quindi della crisi finale spontanea del capitalismo. Dell’analisi di Marx restavano comunque parti importanti, come il ruolo della struttura produttiva (cioè della divisione del lavoro, un argomento di cui ci siamo tanto occupati) per comprendere la struttura di potere della società e la sua evoluzione.

Roberto Villetti, Roberto Villetti (Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=1695863)

Roberto Villetti (Foto da Wikipedia)

Eravamo fin dall’inizio per le riforme, non per la rivoluzione: rosa pallido, non il rosso del sol dell’avvenire, come commentavano i miei compagni di scuola. Eravamo quindi seguaci di Riccardo Lombardi: “Lotta dura/ senza paura/ per le riforme/ di struttura” (ma in realtà per gli iniziati il motto diceva “senza premura”: le riforme vanno costruite gradualmente, richiedono tanta pazienza…). E qui nasce un problema: cosa distingue le riforme di struttura dalle riforme ‘semplici’ o, peggio, dalle controriforme? La risposta coincide (e in parte sviluppa) quella data da Bobbio alla distinzione tra destra e sinistra. Riforme (essere di sinistra) significa tentare di modificare la situazione nel senso di una maggiore eguaglianza; controriforme (essere di destra) significa adottare misure che favoriscono i più ricchi, i più potenti. Per fare un solo esempio, la tassazione progressiva è di sinistra, quella proporzionale (la flat tax, magari accompagnata da tagli alla spesa sociale) è di destra.

Però, cosa significa maggiore eguaglianza? I liberali parlano di eguaglianza delle opportunità, dei punti di partenza: se poi la competizione sociale ci porta a risultati diversi, questo dipende dall’impegno e dalle capacità personali: positivi o negativi, quei risultati ce li saremmo meritati. L’eguaglianza delle opportunità è certo importante, la necessità di premiare l’impegno individuale pure; con i liberali veri si può e si deve collaborare nell’adottare misure che favoriscano questi obiettivi. Ma in ogni caso non si può lasciare a terra chi resta troppo indietro, e se l’eguaglianza dei punti di partenza non viene garantita perfettamente – cosa impossibile – misure di riequilibrio sono comunque necessarie. La rete di sicurezza del welfare state – assistenza sanitaria gratuita e universale, scuole pubbliche, pensioni di vecchiaia e di invalidità, sussidi di disoccupazione – va realizzata, difesa dai tagli alla spesa, resa sempre più efficiente. Soprattutto, sia per quanto riguarda i punti di partenza sia per i punti di arrivo, non si può guardare solo alle diseguaglianze di reddito e di ricchezza: la vera riforma di struttura è quella che riduce le diseguaglianze di potere. (E questo significa, tra l’altro, attribuire enorme importanza alla diffusione della cultura, la cui carenza crea e favorisce le diseguaglianze di potere).

Paolo Sylos Labini

Potere diffuso significa assenza di condizionamenti. Quindi, in primo luogo, certezza delle basi materiali della vita – cioè, in campo economico, priorità per la lotta alla disoccupazione. Ma significa anche difesa delle libertà individuali contro i tanti condizionamenti che l’ambiente culturale o sociale continuamente impongono, spesso sulla forza della tradizione: apertura a tutte le religioni (o all’ateismo), rispetto degli orientamenti sessuali, diritti di privacy, e tanti altri aspetti che il socialismo marxista, concentrato sulla giustizia sociale, ha troppo spesso trascurato, quanto meno lasciato in secondo piano. Di qui ad esempio la proposta, che Roberto aveva perseguito con il progetto della “Rosa nel pugno”, di un’alleanza non semplicemente elettorale ma strategica con i radicali di Marco Pannella, che per le sue tradizioni personali (tra l’altro, di seguace di Ernesto Rossi) condivideva anche i temi della giustizia sociale – purtroppo a differenza di tanti altri radicali, che erano invece neoliberisti e che alla fine, dopo avere fatto fallire il progetto, trovarono una collocazione nei partiti di destra o in un europeismo di maniera.

Marco Pannella nel 1976

Prima ancora del progetto della Rosa nel pugno, Roberto aveva tentato un’alleanza con i Verdi: anche in questo caso, un progetto strategico parte di una tradizione socialista che risale a John Stuart Mill, uno dei primi a sottolineare, fin dalla metà dell’Ottocento, l’importanza della difesa dell’ambiente. Naturalmente, non una ecologia reazionaria come quella di derivazione malthusiana che indica nel blocco dello sviluppo, demografico o economico, la soluzione inevitabile; ma l’ecologia progressista, quella sostenuta dalla premier laburista norvegese Gro Brundtland con il motto dello “sviluppo sostenibile”.

Riccardo Lombardi

Quel che Roberto avrebbe voluto costruire, in sostanza, era un movimento socialista moderno, che collegasse i temi della giustizia sociale a quelli dello sviluppo progressivo dei diritti individuali (anche questa, dello sviluppo progressivo dei diritti, una tesi di Bobbio) e della difesa dell’ambiente, con un intervento pubblico ampio e vincoli e indirizzi precisi al funzionamento del mercato, una politica redistributiva vigorosa ma non espropriatrice, e – soprattutto – tanta attenzione per istruzione e cultura.

Abbiamo fallito. L’Italia, e il mondo, stanno seguendo una strada diversa. Ma abbiamo la coscienza tranquilla, perché abbiamo fatto quel che potevamo. Roberto si è arreso solo quando la malattia lo ha lasciato senza forze; io quando non c’è stato più lui a trascinarmi. Ma, forse, possiamo sperare che nelle generazioni più giovani qualcuno proverà a riprendere, sviluppare e magari modificare in meglio questi ideali».