Il giornale per ricchi

Ci sono le auto per ricchi, forse ci saranno i giornali per ricchi. Soldi e buona qualità dell’informazione. In molti pensano a questa ricetta per rilanciare la stampa in crisi. Qualcuno, come Ben Smith, invece punta su una formula molto più ardita: quotidiani cari, informazione di qualità ma destinata alle élite della società, non al ceto medio e ai lettori popolari.

Giornali per ricchi, Benjamin Eli Smith

Benjamin Eli Smith

Benjamin Eli Smith, più semplicemente Ben, classe 1976, giornalista americano di talento, fa diventare oro tutto quello che tocca. Ha due pallini in testa: gli articoli di politica e le innovazioni nell’editoria. Ha contribuito a fare la fortuna di giornali online come Politico e Buzzfeed. Poi ha fatto centro anche al New York Times, storico quotidiano di carta, salvato e rilanciato grazie a grandi investimenti nella qualità delle notizie e nella versione digitale. Ben Smith all’inizio di gennaio ha annunciato di voler dare vita, in tandem con Justin Smith, a un nuovo giornale destinato a una fascia alta di lettori, «di educazione universitaria e di lingua inglese».

Il giornale per ricchi sarebbe un’assoluta novità. Non si sa come andrà a finire l’impresa. Forse avrà successo, forse no. Anche nella triste era del Covid 19 il mercato del lusso “tira”. Sono aumentate le disuguaglianze tra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri. Macinano enormi profitti solo tre tipi di aziende: le società che producono beni di lusso (come le Rolls Royce), le multinazionali digitali e quella farmaceutiche. Ben Smith scommette su un nuovo mercato: i giornali per ricchi, cari, da scrivere per le classi dirigenti con la padronanza della lingua inglese.

Giornali per ricchi, Jeff Bezos

Jeff Bezos

L’informazione soffre una profonda crisi anche negli Stati Uniti: i quotidiani e le riviste vendono sempre meno copie, molti hanno chiuso, i giornalisti restano disoccupati. Alcune risposte alla crisi, però, sono arrivate. Una risposta è arrivata dall’”alto”: due miliardari hanno comprato il Washington Post (Jeff Bezos proprietario di Amazon) e il New York Times (una cospicua quota è del messicano Carlos Slim). Hanno effettuato massici investimenti sulla qualità del prodotto e nelle versioni online delle testate così i due più prestigiosi quotidiani americani sono rifioriti aumentando lettori e producendo utili. L’altra soluzione è arrivata dal “basso”. Alcuni giornali locali sull’orlo del fallimento sono tornati a “tirare” grazie alla creazione di fondazioni-editori, composte da giornalisti e da lettori.

Giornali per ricchi, Quotidiani in vendita

Quotidiani in vendita

In questi casi i quotidiani non sono diventati un prodotto di lusso, è stata garantita una qualità alta dell’informazione a prezzi popolari. È una strada che potrebbe percorrere anche l’Italia, nella quale la stampa è addirittura in uno stato comatoso. Anzi lo Stato potrebbe favorire con dei bonus fiscali gli investimenti in nuove tecnologie digitali e per ridurre il costo del lavoro. Del resto gli ultimi governi italiani (Renzi, Gentiloni, Conte uno, Conte due, Draghi) sono stati prodighi nel varare bonus fiscali di tutti i tipi: facciate, auto, vacanze, rubinetti, condizionatori, neonati.

I giornali per ricchi invece non sarebbero una buona soluzione, non risolverebbero il problema della stampa in crisi. Emergerebbe inoltre un nuovo classismo, una informazione su tre livelli: 1) quella con notizie dubbie o false su Internet (ma gratis); 2) quella di qualità scadente dei giornali popolari (a 1-2 euro); 3) quella di qualità delle testate per le élite (a 4-5 euro). La salute della democrazia di un paese si misura sull’uguaglianza sociale e sulla qualità della stampa. Il termometro già ora segna la febbre alta sia per le disuguaglianze e sia per i giornali.