Il lavoro che uccide!

Di lavoro si muore troppo in Italia. E sempre di più. Il caso più clamoroso è di Luana D’Orazio, appena 22 anni. La giovane operaia è morta sul colpo a Oste di Montemurlo, in provincia di Prato, schiacciata in un orditoio, un macchinario tessile.

Luana D’Orazio, Operaio su una escavatrice

Operaio su una escavatrice

Le pagine dei giornali sono piene di terribili notizie di incidenti sul lavoro in tutte le regioni. È una specie di guerra con centinaia di morti e migliaia di feriti ogni anno. I casi mortali sono i più diversi. Antonio Cicchetti, 59 anni, è deceduto a Ortona dei Marsi, L’Aquila, travolto da una gru ribaltata che stava guidando. Fiorenzo Canonico, 60, operaio in una azienda che produce traversine ferroviarie, è morto a Rodallo di Caluso, Torino. Vasile Necoara, 54 anni, è spirato a Torbole di Casaglia Brescia, mentre effettuava dei lavori di manutenzione ad alcune tubature in una fonderia. Antonio Cresta, 38 anni, è morto travolto da un mezzo meccanico che utilizzava per dei lavori di manutenzione straordinaria e bonifica del fiume Tata, alle porte di Taranto.

Gli incidenti mortali di lavoro sono sempre di più. Secondo le denunce presentate all’Inail (Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro) i decessi sono stati 185 nei primi tre mesi del 2021, 19 in più rispetto allo stesso periodo del 2020. È una media spaventosa di oltre 2 vittime al giorno. Edilizia, industria, agricoltura, servizi: nessun settore produttivo è risparmiato. Aumentano i morti soprattutto tra i lavoratori dai 50 ai 69 anni di età. Le vittime salgono in maniera più consistente nel Lazio, nell’Abruzzo, in Lombardia e in Campania.

Gli errori umani hanno un peso ma certamente il deficit o, addirittura, l’inesistenza delle misure di sicurezza hanno conseguenze tragiche. Oltre un anno di Coronavirus ha aumentato i già gravi problemi della disoccupazione così il lavoro nero, con garanzie quasi nulle, è esploso con virulenza.

Luana D’Orazio, Operai su un ponte mobile

Operai su un ponte mobile

Si può morire perfino per difendere i diritti del lavoro in una normale vertenza aziendale. È il caso di Adill Belakhdin,  37 anni, morto a Biandrate, Novara. Il sindacalista del SiCobas, italiano di origini marocchine, è morto mentre stava effettuando un “presidio” cercando di ostacolare l’entrata e l’uscita di mezzi di trasporto. L’autista di un camion ha investito lui e alcuni lavoratori, tentando di forzare il “blocco”. Adil Belakhdin è morto e due lavoratori sono rimasti feriti finendo in ospedale. 

Il dramma delle cosiddette “morti bianche” è un male antico dell’Italia duro da estirpare. Se ne parla da molti anni. Quando esplode un caso, come quello clamoroso della giovane Luana D’Orazio, si mobilitano i sindacati, fioccano le proteste sul governo e piovono nuove proposte di legge in Parlamento. Ma i morti sul lavoro continuano, crescono. La sete di profitto, in molti casi, causa gravissimi danni: scarse misure di sicurezza, un mare di lavoro nero, 12 ore di fatica al giorno per circa 800 euro al mese. Forse servirebbero più ispettori del lavoro e incentivi agli imprenditori che si comportano bene. Si sente la mancanza di una sinistra riformista.