Il “pendolo” della giustizia

Vilipendio, Matteo Salvini

Matteo Salvini

Il leader della Lega, Matteo Salvini è stato assolto dal Tribunale di Torino al processo che lo vedeva imputato per vilipendio all’ordine giudiziario. Pronunciando la sentenza, il giudice Roberto Ruscello ha assolto il leader della Lega «per la particolare tenuità del fatto». I fatti risalgono al 14 febbraio 2016, quando durante un congresso regionale della Lega tenutosi al palazzetto dello sport di Collegno, nel Torinese, al quale parteciparono circa un migliaio di persone, l’allora segretario federale della Lega Nord Salvini, fra le altre cose, disse: «Difenderò qualunque leghista indagato da quella schifezza che si chiama magistratura italiana, che è un cancro da estirpare».

Molti anni fa, nella mia qualità di direttore responsabile del settimanale satirico Il Male sono stato processato per una vignetta disegnata da altri che se la prendeva con un magistrato che aveva condannato un redattore del Male per non so quale articolo satirico. Nella vignetta si sosteneva che quel magistrato era talmente puzzolente che il fetore si sentiva attorno a lui. Pesante, lo riconosco, ma Il Male era appunto Il Male.

Primo processo a Perugia: due anni e sei mesi senza la condizionale. Appello a Orvieto: due anni e sei mesi, senza la condizionale.

Vilipendio, Valter Vecellio

Valter Vecellio

A questo punto si monta un bel po’ di casino: interrogazioni parlamentari e campagna stampa. In qualche modo “sensibilizzata”, la Cassazione si inventa un vizio di sentenza, e rimanda tutto a L’Aquila. In quel tribunale la cosa a quanto ne so, si perde, giustamente i magistrati dell’Aquila avevano altri problemi cui pensare e cercare di risolvere.

Diciamo che i piatti della bilancia Giustizia “pendono” se non sempre, spesso, a destra o a sinistra a seconda di chi deve essere “pesato”.

Resta il succo della morale: due tribunali non hanno avuto remora a emettere una condanna a due anni e sei mesi senza condizionale per una battuta di pessimo gusto, ma pur sempre battuta. Ma mi chiamo Vecellio, non Salvini, e dunque per me si è esclusa la «per la particolare tenuità del fatto».

Questo episodio spiega in parte perché, d’istinto, diffido e sono preda di brividi ogni volta che mi accade di incrociare un magistrato, di entrare in un palazzo dove si amministra la Giustizia.