I ventilatori polmonari sono un po’ come i motori per le auto: senza di essi le terapie intensive degli ospedali non marciano contro il Coronavirus. La seconda ondata del Covid-19 sta colpendo con forza tutta Italia: 11 mila nuovi contagiati e 50 morti al giorno.
Le cifre dei “positivi” sono da record rispetto alla prima tragica ondata di marzo-aprile ma le vittime fortunatamente sono ancora limitate a 15 volte meno. Tuttavia le terapie intensive di molte regioni cominciano ad accusare segni di affaticamento e di saturazione. L’allarme è suonato dal governo in particolare per la carenza di ventilatori polmonari necessari ai malati gravi. Domenico Arcuri ha strigliato le regioni. Il commissario per l’emergenza Coronavirus ha avvertito: «Abbiamo altri 1.500 ventilatori disponibili, ma prima di distribuirli vorremmo vedere attivati i 1.600 posti letto di terapia intensiva per cui abbiamo già inviato i ventilatori».
Francesco Boccia gli ha dato man forte. Il ministro per gli Affari regionali ha posto una domanda sul mistero dei ventilatori: «Il problema è dove sono finiti i ventilatori, attendiamo risposte in tempo reale dalle regioni».
Le regioni per ora non hanno risposto e non hanno sciolto il mistero. Però Vincenzo De Luca ha varato nuove severissime misure anti contagio in Campania, la regione più colpita dalla pandemia dopo la martoriata Lombardia. Il presidente della Campania ha chiuso, tra l’altro, le scuole. Ma anche il presidente della Lombardia Attilio Fontana ha introdotto nuove restrizioni soprattutto per gli esercizi pubblici.
Ora Giuseppe Conte sta esaminando altri provvedimenti draconiani da adottare a livello nazionale. Il presidente del Consiglio starebbe anche valutando un “coprifuoco” sul modello di quello realizzato da Emmanuel Macron in Francia.
Resta il rebus ventilatori. Resta la domanda di Boccia: i 1.600 ventilatori inviati dall’esecutivo alle regioni «dove sono finiti»? Già, nessuno ha contestato la domanda. Allora: dove sono finiti?