Poliziotti kenyani: dacci
il computer e l’orologio

Sono molti gli italiani, in particolare i romani, che vanno in Kenya per turismo e per lavoro. Giovanni Masotti, collega romano, direttore del giornale online “Oltre l’equatore”, è andato nel paese africano ed è rimasto “scottato” da una scioccante disavventura. Ecco il suo racconto

 

Zebre nella savana del Kenya

Zebre nella savana del Kenya

Quanto è bello il Kenya! Chi può negarlo? Da Mombasa a sotto Malindi spiagge dalla candida sabbia, sole bruciante che non ti lascia mai se non a maggio e a giugno, quel dondolante gioco delle maree che ti porta la mente lontano, lontano… Ma non sei tranquillo se la sicurezza non è garantita. Tutto intorno agli organizzatissimi resort ed ai villaggi, guardie armate e attente, guerrieri Masai in uniforme tradizionale che gironzolano qua e là con il manganello infilato nella cinta.

Già, il Kenya. Fascino e violenza, allegria e paura. Fuori dei ‘paradisi’ dei ricchi meglio essere scortati, o almeno accompagnati. I ‘ragazzi di strada’ ti scrutano. L’occidentale ben vestito, magari a bordo di una costosa auto. Ti guardano, ti seguono, aspettano l’attimo giusto per aggredirti. Spesso a bordo di motociclette, i leggendari ‘matatu’, assieme taxi e mezzo di fuga dopo aver afferrato il bottino. Pronti a una coltellata per due-tre euro. Sono affamati, fisicamente e psicologicamente. Non basta il traffico di droga, il turismo sessuale, la diffusa pedofilia. Loro vogliono quattrini, di più, mai sazi. Invidiosi dei bianchi sorridenti e sfacciati. Potreste dire che non stiamo raccontando niente di nuovo, che in tutto il terzo e il quarto mondo è così. È vero. Ma in Kenya il contrasto tra la bellezza e la malvagità è ancora più stridente.

E c’è una grande differenza: poliziotti e soldati in divisa recitano un ruolo importante in questa razzia continua. Soldi, soldi…

Altrimenti brutte sorprese. Nello squallido, grigiastro, salone della dogana del malmesso aeroporto internazionale di Mombasa, il crimine è la quotidianità. Al controllo passaporti, primo passo verso il rientro nei paesi d’origine – Italia in testa – pretendono un contributo. Se ti allontani di fretta, stufo di quella infinita questua, la tua sorte è segnata. Metti le tue valigie e il resto delle tue cose sul rullo e le loro grida ti fermano. «Stop, come here!».

Devi aprire tutto e loro scelgono con soddisfatta calma quello che gli interessa, sghignazzandoti in faccia, prelevando – come a me, romano ma giornalista e cittadino del mondo – non era mai accaduto in più di quarant’anni di professione, il computer e i suoi cavetti, l’orologio d’oro di mio padre dal forte valore affettivo, e poi ancora stupidaggini fino al profumo ‘Bleu de Chanel’, o al dentifricio sbiancante, o alla spazzola per le scarpe…Tu osservi inebetito e strilli come un’aquila, protesti. Loro se ne fregano. Nessun altro turista di ritorno alla civiltà ti dà una mano. Codardi, hanno paura di quella gente. E gli agenti, tra cui si distingue una donna grassa e urlante, terminano la loro opera e ti intimano di avviarti al check-in, dove i loro reati spariranno nelle stive degli aerei.

Appena arrivato a Roma, dopo lo scalo a Istanbul, riapro le valigie e mi accorgo di altre cose che mancano, vestiario per esempio. Comincia la sequela delle telefonate, delle e-mail, degli sms. Chiedo aiuto, ripeto per filo e per segno quello che mi è accaduto. Nell’arco di tre-quattro giorni realizzo che nessuno ha mosso un dito per tutelare un connazionale spogliato della sua dignità e dei suoi diritti. Non fanno un bel niente i consoli di Mombasa e di Malindi, finge di scrivere una nota ai kenyani l’ambasciatore a Nairobi Massoni, di cui non ho nemmeno la soddisfazione di sentire la voce. Mi scrive una riga e mezzo: «Mi dispiace, dottore. Non sapevo nulla dell’accaduto. Mi muoverò domani». Zero, invece. Continuo a martellare, ma non ne so più niente. Alla diplomazia italiana in Kenya non interessa affatto quello che può accadere a un italiano che viene da fuori. Sono abituati, loro. Un conoscente, uno dei ‘caimani’ bianchi ras della costa, quasi mi rimprovera: «E che ti aspettavi? Tu impara a dare le mance e magari… prenditi il porto d’armi, come ho fatto io».

 

PS.: Tra qualche giorno, devo tornare in Kenya dove dovrei terminare di acquistare una casa. Non sono sicuro che mi faranno rientrare. Non sono sicuro che non mi faranno niente dopo questo articolo. Le autorità governative nazionali, la Farnesina soprattutto, sono avvertite. Se dovessi scomparire, sanno dove andare a trovarmi.

Gentiloni, Alfano, Minniti date un occhio al Kenya!